lunedì 6 ottobre 2025

Focke wulf 58 lago di Bourget 110m

Un tuffo nella storia: il Focke-Wulf 58 del Lac du Bourget.
Un’immersione impegnativa,affascinante, indimenticabile.

Domenica abbiamo finalmente realizzato un sogno che coltivavamo da anni: un’immersione profonda, tecnica e carica di emozione sul relitto del Focke-Wulf 58, un aereo tedesco della Seconda guerra mondiale adagiato a 110 metri di profondità nel cuore del Lac du Bourget, in Alta Savoia.




Un po’ di storia

Il relitto giace sul fondo del lago dal marzo del 1944. Sono passati oltre 80 anni da quando questo raro esemplare – uno degli ultimi ancora esistenti al mondo – trovò la sua tomba d’acqua. L’aereo apparteneva alla Scuola di Navigazione N.4 della 3ª Flotta Aerea, con base a Lyon-Bron. A bordo, quattro giovani ufficiali in addestramento per diventare operatori radio. Era il loro ultimo giorno di corso, e come da tradizione, il volo finale prevedeva un passaggio radente sul lago. Una manovra rischiosa, e infatti proibita, ma il sergente pilota Ernst Chronz decise comunque di eseguirla. L’aereo toccò la superficie dell’acqua e si schiantò. Due membri dell’equipaggio persero la vita: il sergente Chronz e il caporale Kurt Becker. Gli altri due, Rudolph Schiere e Otto Steinbach, furono miracolosamente salvati da alcuni pescatori.

L’organizzazione del tuffo

Questa immersione era nei nostri piani da tempo. L’avevamo quasi realizzata nel 2019, quando ancora usavamo il circuito aperto, ma alcune defezioni ci costrinsero a rimandare. Sei anni dopo, la voglia di scendere su quel relitto era più viva che mai. Già in estate avevamo preso contatti con Jean-Marc di Savoie Plongée, lo stesso diving che aveva supportato alcuni amici l’anno precedente.

Nei mesi precedenti abbiamo fornito tutta la documentazione necessaria: brevetti, certificati medici, piani di immersione e contingenza, oltre alla prova di almeno quattro immersioni oltre gli 80 metri negli ultimi mesi. Tutto era pronto.

Il giorno dell’immersione

Domenica mattina, ore 8. Il cielo è grigio, una pioggerellina insistente ci accompagna al porticciolo di Chindrieux. Il meteo non è dei migliori, ma le previsioni promettono un miglioramento. Nonostante tutto, siamo concentrati: ci attende un tuffo impegnativo, oltre i 100 metri, nelle fredde e buie acque del lago.

Ognuno si dedica alla preparazione della propria attrezzatura: rebreather, scooter, bibo, stage. Dopo pochi minuti arrivano i ragazzi del diving, sono in tre  pronti a fornirci assistenza. Tra un mix di francese e inglese, ci scambiamo le ultime battute: “Che merda di tempo!”, “Quanto dista il relitto?”, “Runtime totale?”.

Il Focke-Wulf 58 non è grande: 20 metri di apertura alare, 9 metri di fusoliera. Abbiamo pianificato un tempo di fondo di 20 minuti, per un runtime totale di 120 minuti. Dopo la pre-respirazione, siamo pronti. Siamo sulla verticale del relitto. Ultime comunicazioni con la superficie: in caso di emergenza, il lancio del pallone giallo sarà il segnale per l’intervento immediato.

Si parte. Qualcuno ha qualche  piccolo intoppo – un guanto che si rompe, un erogatore da sostituire – ma tutto si risolve rapidamente. Poi, uno dopo l’altro, ci lasciamo scivolare lungo la cima che ci condurrà, 100 metri più in basso, verso un pezzo di storia sommerso.

La discesa nel buio

La discesa è lunga, avvolta nel nero più profondo. Il contatto con la cima è vitale: le luci sono accese, la concentrazione massima. Non c’è corrente, ma i primi 20 metri sono i più delicati: la visibilità è ridotta a pochi metri, ogni movimento va calibrato con precisione. Poi, come per magia, superata quella soglia, il torbido si dirada e lascia spazio a un buio cristallino. Più scendiamo, più l’acqua si fa limpida, quasi irreale.

Filippo apre la strada, io lo seguo a ruota, dietro di me ci sono Paolo e Dario. Dopo cinque minuti siamo sul relitto, a 98 metri. Il sipario si apre.

Davanti a noi, sospesa a mezz’acqua, la coda del Focke-Wulf si staglia nel buio come un fantasma del passato. I nostri fari illuminano la svastica, simbolo di oppressione e violenza, ancora ben visibile. Sotto di noi, la fusoliera si estende silenziosa, immobile da ottant’anni.




Scendiamo lungo il traliccio che un tempo era la struttura della carlinga. L’area è illuminata a giorno dai nostri fasci di luce. Raggiungiamo il fondo: davanti a noi la cabina di pilotaggio, con le cloche ancora al loro posto. Sopra, l’antenna e il radar, testimoni muti di un’epoca lontana.

Con gli scooter iniziamo a esplorare l’aereo, costeggiando l’ala destra. Ci scambiamo segnali di “ok”, ci stiamo godendo ogni istante. Vedo Filippo scrutare il carrello, in parte sepolto nel limo. Paolo, con cui avevamo parlato durante il viaggio in macchina, mi indica l’effige del Terzo Reich sull’ala: la croce nera, ancora lì, a raccontare la sua storia.

Dario è sopra di noi, intento a scattare foto. Io mi porto a casa scorci mozzafiato: con gli scooter ci muoviamo agili tra le ali e il fondale, catturando immagini spettacolari della coda che si staglia nel buio, come una sentinella del tempo.




Il tempo scorre. Il relitto non è grande, in venti minuti lo esploriamo a fondo. Ci ricompattiamo, uno sguardo al runtime: abbiamo ancora due ore prima di emergere. È il momento di iniziare la lunga risalita.


 

 



 Credit poto e video  by Dario Lupi.



domenica 21 settembre 2025

Idrovolante CMASA (FIAT) RS.14 Finale Ligure 90m

Ieri è stata una giornata che difficilmente dimenticherò: mare calmo, super team e finalmente l’immersione sul leggendario aereo di Finale.

Avevamo programmato questa avventura già a luglio, ma il meteo ci aveva costretti a rimandare. Stavolta, però, niente ci avrebbe fermati. Alle 9 ci ritroviamo al porticciolo di Finale: io, Paolo Giorda, Roberto Baricalla, Marco Repetti e Luigi Bagnasco. Inizialmente puntavamo a una secca profonda, il “Dente dell’Uomo Corallone”, davanti a Spotorno, un posto che conosco bene, mi ci sono immerso 6 volte . Ma poi, la svolta: Marco Colman ci propone di cambiare programma. Ci invita a tentare il tuffo sull’idrovolante CMASA (FIAT) RS.14, un relitto raro, difficile da raggiungere, battuto da pochi e sempre in balia delle correnti. Un’occasione che non si può lasciar scappare.





Un po’ di storia:

Il CMASA RS.14 era un idrovolante bimotore, progettato per la ricognizione e il bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1944, fu abbattuto e ora riposa a 90 metri di profondità, su un fondale sabbioso. Si dice che facesse parte di una flotta confiscata dalla Luftwaffe e che, inseguito dai caccia inglesi, sia stato costretto ad ammarare. Solo uno dei tre aerei affondò, e dell’equipaggio non si è mai trovata traccia.

L’immersione:
Sono il primo a saltare in acqua. L’adrenalina pulsa nelle vene mentre sistemo l’attrezzatura e controllo i compagni. Un ultimo check, poi giù lungo il pedagno. Superati i primi 10 metri, l’acqua si fa lattiginosa, il blu si trasforma in un abisso scuro e misterioso. Ma la voglia di scoprire vince su tutto: prua dello scooter verso il basso, e via a tutta velocità!

Il relitto fu scoperto nel 2009 dai sub dell’Explorer Cycnus Center, e oggi uno di loro, Marco Colman, ci accompagna in questa avventura.

In tre minuti e mezzo sono a 90 metri. Il pedagno è caduto proprio accanto al relitto. La visibilità è buona, anche se la luce è poca. Il relitto è smembrato, ma riconoscibile: un grosso motore, ancora scenografico, con una stella marina arancione che sembra messa lì apposta per noi. Poco distante, la prua della fusoliera contornata da ricci matita poco più in là i galleggianti/scarponi lunghi dieci metri, uno vicino, l’altro più staccato dal corpo centrale del relitto .Molto accattivante anche parte della fusoliera, mi affaccio dentro , il cuore batte forte: è come guardare dentro la storia.

Tra le lamiere si aggirano gronchi e musdee, mentre le triglie spazzolano il fondo. Il relitto si stacca poco dal fondale, ma grazie all’assetto perfetto di tutti, la visibilità resta ottima. Siamo in cinque, tra telecamere e torce: la scena è illuminata a giorno. Mi godo ogni dettaglio, ogni emozione, in completo relax..




La strobo ci indica la via.Dopo 25 minuti ci può bastare ,aereo non è grande ; è tempo di risalire. Io, Roby e Paolo ci dirigiamo verso il pedagno, mentre Marco e Luigi si concedono qualche minuto in più, “volando” con la loro decofusion.




La decompressione scorre tranquilla. A 10 metri, la sorpresa finale: una magnifica mobula, accompagnata da due pesci pilota, ci sfila davanti. La indico ai compagni, qualcuno riesce a riprenderla. È il regalo perfetto per concludere questa avventura.

Riemergiamo al 120' circa , soddisfatti e ci raccontiamo le nostre impressioni. Si rientra in porto sbranando focaccia e siamo tutti d’accordo: questa esperienza resterà impressa nei nostri ricordi per molto, molto tempo.





Ringrazio per le foto e video Roberto Baricalla e Luigi Bagnasco

domenica 20 luglio 2025

La Barcaccia -85mt la Bettolina Fluviale Armata di Finale Ligure

 

Un tuffo nella storia: la Bettolina Fluviale Armata di Finale Ligure

Vi racconto com’è andata.

Sveglia all’alba a Monza, come sempre quando si va a immergersi. L’obiettivo è evitare il traffico dei vacanzieri e arrivare con calma. Anche se l’imbarco è previsto per le 10, alle 8:30 sono già al porticciolo di Finale Ligure.

Il nostro vero obiettivo era l’idrovolante RS14, ma il vento inizia a farsi sentire e Marco Colman responsabile del Cycnus diving  mi avvisa: forse dobbiamo cambiare destinazione. Il relitto dell’aereo si trova in una zona esposta, e con queste condizioni rischiamo di complicarci la vita. Prendo atto, mi metto in spiaggia e aspetto gli altri del team.

Siamo in sei: Altomare ,Giorda, Baricalla, Repetti, Ghia e Airoldi. Alle 10 siamo pronti in banchina, carichiamo l’attrezzatura e salpiamo per valutare le condizioni in mare. Il vento c’è, eccome se c’è. Quindi si cambia rotta: si va sulla Bettolina Fluviale Armata, conosciuta anche come la Barcaccia, a -85 metri.








Non ci sono mai stato su questo relitto, e la cosa mi intriga. Immergersi in un sito nuovo ha sempre un fascino speciale.

Un po’ di storia: nel 1943, tra i porti francesi e quelli liguri, transitavano chiatte fluviali armate e motozattere requisite dai tedeschi in Francia e Belgio.

I tedeschi utilizzavano queste chiatte fluviali armate per scortare convogli, bombardare la costa e posare mine. La nostra Bettolina è stata affondata il 14 gennaio 1942 dal sommergibile britannico HMS Sahib (P212), lo stesso che ha colpito anche il famoso mercantile Oued Tiflet.

L’immersione

Siamo in acqua: io, Ciorda, Baricalla e Repetti. Segnale di OK e giù verso la Barcaccia. Scooter acceso, si parte. L’acqua è un po’ lattiginosa già in discesa, quindi accendo la strobo a 40 metri per sicurezza. (La mia Gralmarine, super potente, oltre i 70 fa fatica a girarsi e accendersi.)

Arriviamo sul fondo, a -85. Vediamo l’ancorotto del pedagno, ma del relitto nemmeno l’ombra. Non il massimo. Giorda piazza la sua strobo, io scorgo una massa scura e seguo le castagnole: eccola, la poppa della Bettolina! Il pedagno è distante almeno 10 metri, e con visibilità scarsa (circa 7 metri) bisogna organizzarsi bene.

Arriviamo sul relitto.La mia strobo?perché no? Scooter a manetta ritorno sul pedagno la piazzo e siamo pronti. La poppa è la prima zona che esploriamo: il relitto è pulito, qualche rete ma niente lenze pericolose. Il piccolo castello di poppa ha finestrelle rettangolari, le battagliole sono ancora su entrambe le murate. Dietro il castello c’è l’ingresso della sala macchine, sotto la poppa si vede il timone, mentre le eliche sono insabbiate.

Intanto arrivano anche Ghia e Airoldi, con i loro Revo. Hanno seguito le nostre luci e tirato un reel dal pedagno. Ottimo lavoro.

Il relitto è spezzato in due tronconi, disposti a L, per una lunghezza totale di circa 45 metri. Il troncone di prua è affascinante: grandi stive con materiale vario, grosse bitte, un albero da carico e un paranco. La prua ha una forma tondeggiante, quasi identica alla poppa – una caratteristica tipica di queste bettoline.

Ormai ho preso i riferimenti: prua, poppa, pedagno, strobo. Inizio a girare il relitto da solo, con lo scooter e torcia spenta per ridurre i riflessi. L’acqua è ancora un po’ torbida, ma il relitto è ben conservato, staccato poco dal fondo.

Dopo 25 minuti siamo a -83, abbiamo esplorato tutto. È ora di risalire. Uno sguardo all’orizzonte… eccole, le strobo ci indicano la via. Raggiungiamo la cima e iniziamo la lunga decompressione. Dopo 125 minuti, finalmente in superficie. Ci scambiamo sguardi, sorrisi e racconti. Emozioni pure.

Video by Repetti Marco









venerdì 4 luglio 2025

Ischia Rimorchiatore Miseno Trimix dive 70mt

 
Immersione sul Miseno: un'avventura tra vento, corrente e meraviglia

Oggi si torna a Ischia, pronti per un’immersione sul relitto del rimorchiatore Miseno.
Carichiamo il gommone al porticciolo di Miseno poco dopo le 8:30 e molliamo gli ormeggi: rotta verso l’isola verde.
Il mare è increspato, il vento non promette bene. Non siamo certi di riuscire a raggiungere il relitto, ma appena fuori il vento si rivela più gentile del previsto. Si va: direzione Miseno.
Il Miseno era un rimorchiatore della Marina Militare Italiana, lungo circa 25 metri e largo 7. Il 27 novembre 1982, in navigazione dalla Maddalena verso Napoli, fu sorpreso da un fortunale nei pressi di Ischia. Imbarcò acqua dalla dritta e iniziò ad affondare. L’equipaggio fu tratto in salvo grazie all’intervento tempestivo di altre imbarcazioni. Il relitto si adagiò su un fondale tra i 65 e i 75 metri, con la prua rivolta a ovest, in posizione di navigazione. Il fumaiolo si trova a -58 metri, mentre il resto è tra i -65 e -70.






Arrivati sul punto di immersione, le condizioni peggiorano: vento forte e mare formato. Io e Pellegrini ci tuffiamo, ma ci troviamo subito a fronteggiare una corrente superficiale molto intensa.
Quella che doveva essere una tranquilla immersione di relax si trasforma in una sfida tecnica. Siamo lontani dal pedagno mobile e dobbiamo spingere al massimo i nostri scooter per almeno 10 minuti per raggiungerlo.
È dura: onde, vento e corrente ci mettono alla prova. Filippo, vista la situazione, si lancia in acqua già completamente equipaggiato. Con fatica, ma determinati, raggiungiamo finalmente il pedagno di discesa. Si parte!
La corrente è sostenuta nei primi metri, ma la visibilità è ottima. In meno di due minuti siamo sul relitto: il pedagno è caduto a pochi centimetri dalla prua.
Il Miseno riposa su un fondale di sabbia bianca e chiarissima. Non è grande, ma è affascinante. Iniziamo l’esplorazione dalla prua, sbirciando nella cabina di comando. Proseguendo lungo la murata di sinistra, entriamo in una seconda stanza dove ci accolgono due grossi gronchi, veri guardiani del relitto.
Uno è particolarmente curioso: ci viene incontro senza alcun timore. Passo diversi minuti a interagire con lui, mentre alle sue spalle danzano centinaia di gamberi parapandali.
Il relitto è in ottimo stato: cime di lavoro, grosse bitte, il fumaiolo, l’elica, il timone e la scritta Miseno a poppa.
Do gas allo scooter, mi allontano di una decina di metri e inizio a girarci intorno, catturando scorci mozzafiato.
Sulla fiancata destra c’è persino il mitico bagno, completo di WC, lavandino e specchio: tutto perfettamente conservato, nonostante siano passati 43 anni dall’affondamento.
Il nostro tempo di fondo è terminato. Dopo un run time complessivo di 2 ore, iniziamo la risalita.
Miseno, ci hai conquistati. Immersione sudata, ma ne è valsa assolutamente la pena.
La decompressione scorre veloce, ma non c’è da distrarsi: scooter a tutto gas per contrastare la corrente.
Dopo 120 minuti, finalmente torniamo all’aria. Risaliamo in barca, ci spogliamo e iniziamo a scambiarci impressioni. Immancabile birretta decompressiva, poi è ora di pranzo.






Sulla via del ritorno ci fermiamo al porticciolo di Baia per un cuoppo volante di calamari e gamberi.
Cosa volere di più? 



 


giovedì 3 luglio 2025

Ischia Punta Sant’Angelo Trimix dive 115mt

 

Dopo qualche mese di pausa, il blog torna a respirare... anzi, a prerespirare!
Questa volta vi porto con me in un’avventura subacquea tra Ischia, Positano e Procida, con quattro immersioni da sogno e una squadra di buddy ormai collaudata:

  • Paolo Pellegrini (JJ ECCR diver)
  • Dario Lupi (Inspiration ECCR diver)
  • Paolino Altomare (Megalodon ECCR diver)
  • Filippo Mauri (CA diver)

Partenza comoda il giovedì, direzione Miseno, e già venerdì eravamo in acqua per la prima immersione: il relitto del Valsavoia, al largo di Positano, con imbarco da Castellammare.
Per questa spedizione ci siamo affidati allo Stabia Diving Center di Bruno Schisa e Antonio Lettini.

Sul “Valsa” c’eravamo già stati nel 2018, allora in circuito aperto. Tornarci oggi con i rebreather ci ha regalato un tempo di fondo più generoso — circa 40 minuti — e la possibilità di esplorare ogni angolo del relitto.
A mio avviso, resta uno dei migliori mai fatti: strutture ancora integrecannone a poppacassero a prua con diversi punti d’ingresso, corallo nero sulle murate e una visibilità eccezionale. Oggi, tra l’altro, è sempre meno frequentato: un vero gioiello sommerso.

Punta Sant’Angelo: la regina di Ischia

Dopo le tre ore complessive di runtime del giorno prima, il sabato ci siamo diretti verso la leggendaria parete di Punta Sant’Angelo, a Ischia.
Considerata una delle più belle e profonde del Mediterraneo, questa immersione è un must per ogni sub tecnico che si rispetti.






Durante la navigazione ci prepariamo: fa caldo, e vogliamo essere pronti a entrare in acqua appena il gommone si ferma.
Ormeggiamo vicino alla punta, dove c’è anche un’altra barca. Un tuffo per rinfrescarci, poi si vestono i reb, si completano i check, e si parte.
Con noi oggi c’è anche Bruno. Si scarica il gav, scooter in avanti... e giù!

Attraversiamo due grandi rocce e la parete si apre sotto di noi, imponente. La teniamo sulla destra e ci lasciamo scivolare lungo questa murata che sembra non finire mai.

La parete offre quanto di meglio si possa trovare nel ns mare; Papamuricee rosse ,rosse e gialle,solo gialle;un bosco colorato.

Rami di corallo rosso di grosse dimensioni colonizzato la parete, spugne gialle a contorno completano il quadro.

Un parete spettacolare, penso raggiunga la profondità di oltre 150m 

Durante il briefing ci eravamo dati un limite di 100 metri, ma la bellezza del sito ha avuto la meglio: quasi nessuno è riuscito a trattenersi.
Io tocco i 115 metri, poi risalgo per ricongiungermi al gruppo a 90 metri. Scooter a manetta verso due pinnacoli a 75 metri: un vero bosco di gorgonie bicolore.



Paolo mi segnala un gattuccio enorme, completamente fuori tana. Foto, video, e si riparte.
Ci spostiamo in una zona dominata dalle Gerardia savaglia, ci sono moltissime colonie  giallo vivo, spettacolari. Poco più in là, un pesce San Pietro cerca di sfuggirci: lo rincorriamo con gli scooter.

50 metri le gorgonie bicolori lasciano spazio a quelle rosse e alle Eunicella cavolinii. Nelle spaccature, colonie di gamberi Parapandalus si muovono freneticamente.

Il TTS ci avvisa: runtime totale 180 minuti. È ora di iniziare la risalita e la decompressione.
Seguiamo la parete, che continua a regalarci incontri: salpe, castagnole, saraghi ci accompagnano fino alla fine.





Dal gommone calano le cime, agganciamo le bombole di bailout e al minuto 180 riemergiamo, felici e carichi di emozioni.
Senza dubbio, una delle più belle immersioni mai fatte in Mediterraneo in 25 anni di subacquea.




giovedì 4 luglio 2024

Cromarty wreck 85/95mt

Ci troviamo sopra il relitto del Cromarty, cercando la linea di discesa fissata un anno fa da Michele ed Hermes, ma questa volta è introvabile. Michele si immerge, ma invano; le mareggiate invernali l'hanno probabilmente strappata via.

Il Cromarty, un dragamine inglese gemello del FELIXSTOWE, misura 54,9 x 8,8 x 3 m. Affondato a causa di una mina che ha distrutto la prua, giace a 95 metri di profondità in assetto di navigazione. Il relitto è in condizioni eccellenti, anche per il fatto di essere poco esplorato.








Con il punto GPS stabilizzato sul relitto, lanciamo un pedagno mobile per garantirci una linea di discesa; ora è il nostro turno di scoprire dove è atterrato.

Le condizioni oggi sono mutate rispetto a ieri: c'è più vento e la corrente di superficie è più forte, ma è tutto gestibile con un po' di esperienza.

Ci tuffiamo già equipaggiati di stage e scooter per non disperderci durante la vestizione, ci raggruppiamo sulla cima, attendiamo Dario che tarda, e poi tutti giù verso il Cromarty.

Man mano che scendiamo, la visibilità aumenta. La discesa è rapida, con lo scooter diretto verso il basso; spero di incontrare presto la sagoma del relitto. A circa 70 metri, lo vediamo apparire magnifico dall'alto. Il pedagno è caduto vicino alla murata di sinistra, perfetto. La visibilità è migliore di ieri, cristallina. Filippo posiziona la strobo. 90 metri, ci raggruppiamo, si parte.

Anche questo relitto è spettacolare. Sul ponte ci sono tre armamenti: un cannone scudato, un cannone a canna singola sulla murata di sinistra e un cannone  sulla murata di destra.

Mitragliatrice murata sx

Cannone scudato coperta poppa

Disegno by Hermes Budroni






Mitragliatrice murata dx

Manica a vento coperta poppa


Il relitto si presenta come un'esplosione di colori, con gorgonie bicolori che fioriscono in abbondanza, e anche qui ci accoglie un magnifico San Pietro. Sulle passerelle si possono osservare bombe di profondità e maniche a vento, mentre ai lati si trovano i bracci delle scialuppe di salvataggio; era qui che avremmo dovuto trovare il nostro filo guida, ma non c'è traccia, nemmeno l'ombra di una cima

Manica a vento coperta poppa

Bracci per movimentare scialuppe salvataggio


Bombe profondità estrema poppa

















All'estrema poppa ci sono due gruette completamente ricoperte di gorgonie. Facciamo la massima sull'elica a 95 metri, poi ritorniamo sul ponte dove mi soffermo sui tre pezzi di artiglieria, davvero suggestivi, per poi dirigerci verso la prua  dove la nave si è spezzata durante la collisione.

Gruette estrema poppa

Ci muoviamo in formazione sparsa lungo il relitto; la visibilità è buona e il relitto si gira agevolmente. Lungo la murata di sinistra si può osservare un orinatoio, che mostro felicemente ai miei compagni, i quali mi prenderanno in giro in superficie per il mio entusiasmo. Dopo 25 minuti intorno ai 90 metri, considerando che ieri abbiamo fatto un'immersione di 3 ore e oggi siamo di nuovo in acqua dopo un intervallo di superficie di appena 15 ore, decidiamo di staccare per poi completare la nostra decompressione al 145° minuto. Oggi niente Mobula in decompressione, ma siamo super soddisfatti per esserci immersi su un relitto ben conservato, ricco di dettagli e colori.

Rientrando verso Santa,  il vento, ormai più forte lo prendiamo di faccia , ci fa tornare zuppi ma felici. I tuffi su Da Noli e Cromarty resteranno un ricordo indelebile, e da domani ci dedicheremo a immersioni più tranquille sui relitti di Castelsardo.